Detenzione e prole

È ammissibile la detenzione domiciliare per il padre condannato se la madre è deceduta o non può farsi carico della prole. Perciò, è costituzionalmente illegittimo il divieto di concedere al padre la detenzione domiciliare quando i figli possano essere affidati a terze persone rispetto alla madre deceduta o che non può farsene carico. Non viola invece i principi costituzionali il diverso trattamento stabilito dall’ordinamento penitenziario, vale a dire per la donna e l’uomo condannati che abbiano figli di età non superiore a dieci anni ovvero gravemente disabili.

Per cui, nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, la Corte Costituzionale, riuniti i giudizi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, della Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), limitatamente alle parole «e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre»; nonché, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, Ordin. Penit., sollevate, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna e dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia; ed infine, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, Ordin. Penit., sollevate, complessivamente, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, 29, 30, 31, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna, in via principale, e dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2025. Sentenza N. 52/2025.

Diritto all’affettività

A proposito del diritto all’affettività in carcere, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 10/2024 il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha predisposto le linee guida volte a stabilire termini e modalità di esplicazione del suddetto diritto.

Espulsione dello straniero

Secondo costante giurisprudenza, “l’espulsione dello straniero non appartenente all’Unione europea, identificato, irregolare, il quale sia stato condannato e si trovi detenuto in esecuzione di pena, anche residua, non superiore a due anni per reati non ostativi (…), ha natura sostanzialmente amministrativa e costituisce una misura alternativa alla detenzione atipica, della quale è obbligatoria l’adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge”. E siccome “a fondamento della disposizione vi è l’esigenza di ridurre la popolazione carceraria”, consegue che “ne è esclusa l’applicazione a quanti, in relazione alla pena da espiare, si trovino già sottoposti a una misura alternativa in senso proprio, o al regime di arresti domiciliari esecutivi (…), mentre non è di ostacolo la sola applicazione dei benefici del lavoro esterno e dei permessi premio”.

La norma, infatti, “persegue l’obiettivo, facendo in modo che fuoriescano dal circuito penitenziario, e siano subito rimpatriati, i condannati comunque non reintegrabili nella comunità nazionale, perché sprovvisti di titolo per rimanervi, già non avviati a percorsi proficui di risocializzazione e per i quali non sussistano prevalenti esigenze di asilo, umanitarie ovvero di tutela della loro persona o delle loro relazioni familiari”.

Sicché, costituisce un principio consolidato quello secondo cui il giudice penale “nel disporre l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, quale che ne sia la base legale, debba sempre verificare che l’allontanamento non comporti una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare, procedendo all’esame comparativo della condizione dell’interessato al riguardo, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione” – tra cui la sua capacità a delinquere –, “in una prospettiva di bilanciamento tra l’interesse generale alla sicurezza sociale e l’interesse del singolo alla protezione della sua sfera domestica, pur nel caso in cui gli altri componenti del nucleo non siano cittadini italiani”.

Perciò, ai fini dell’espulsione dello straniero quale sanzione alternativa alla detenzione, il giudice di sorveglianza deve “orientare il giudizio al contemperamento tra le esigenze poste a fondamento del provvedimento e quelle di salvaguardia delle relazioni private e familiari dell’interessato”, vietando quindi “il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistessero fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale” comporti “una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, fatte salve le ragioni imperative di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica o di protezione della salute dei residenti in Italia” (Cassazione penale, sentenza n. 13514/25).