In materia di rimedi risarcitori nei casi di detenzione ritenuta contraria al senso di umanità, il sistema di tutela in favore dei detenuti è stato rafforzato concretizzandosi in due azioni autonome e complementari, disciplinate rispettivamente dagli artt. 35-bis e 35-ter Ord. Penit., che consentono al detenuto, appunto, di essere sottratto in modo tempestivo ad una condizione detentiva contraria al senso di umanità. La caratteristica dell’art. 35-ter Ord. Penit., infatti, consiste proprio nell’aver introdotto rimedi di tipo compensativo/risarcitorio con estensione dei poteri di verifica e di intervento da parte del magistrato di sorveglianza, allo scopo di rafforzare gli strumenti tesi alla riaffermazione della «legalità della detenzione». Si tratta, quindi, di «misure che rappresentano un quid pluris rispetto al previgente sistema di tutela, essenzialmente incentrato sul potere del magistrato di sorveglianza di inibire la prosecuzione dell’attività contra legem, in ottemperanza al monito derivante dalla Corte EDU di introdurre ricorsi tali che le violazioni dei diritti tratti dalla Convenzione possano essere riparate in maniera realmente effettiva». Ebbene, nel caso in esame, non viola l’art. 3 della convenzione EDU, in termini di fattori degradanti la detenzione, la presenza di un bagno alla turca all’interno di una cella singola, «essendo l’uso di tale servizio non promiscuo e separato dal resto della cella con una porta», per cui tale circostanza non costituisce «elemento di intollerabile afflittività», né integra una «lesione del diritto alla riservatezza, così come quello alla salubrità dell’ambiente, il cui corretto mantenimento non era compromesso da fattori esterni» (Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, Sentenza 9672/2024).