Ai fini della limitazione del diritto alla corrispondenza dei detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ordinamento penitenziario (restrizione particolare necessaria per impedire i collegamenti con l’associazione criminale di tipo mafioso, terroristica o eversiva), non è necessario dimostrare che la missiva ordini la commissione di reati o contenga espliciti messaggi rivolti ad altri partecipi dell’organizzazione stessa, bensì è sufficiente che elementi concreti facciano ragionevolmente dubitare che il contenuto effettivo della missiva sia proprio quello che appare dalla semplice lettura, nonché temere che con essa si sia inteso trasmettere un messaggio che abbia a che fare con le esigenze indicate dall’art. 1.8-ter Ord. penit. (per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto di pena, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa; la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo; il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima). Sicché, è manifestamente infondato il ricorso del detenuto che lamentava profili già adeguatamente vagliati e disattesi da parte del Tribunale di sorveglianza, il quale aveva bene «evidenziato, nel respingere il reclamo del detenuto, la legittimità del provvedimento di trattenimento della corrispondenza disposto dal Magistrato di sorveglianza in considerazione dei contenuti della missiva inviata dal (omissis) ai componenti del proprio nucleo famigliare, essendo presenti in essa frasi ambigue e prive di attinenza rispetto alla restante parte del testo». Alla dichiarata inammissibilità del ricorso, segue la «condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende» (Corte di Cassazione, Sezione Settima Penale, Sentenza 585/2024 - Ibid 586/2024).