Revoca della misura alternativa

Con riferimento al procedimento innanzi il Tribunale di sorveglianza, i giudici di legittimità hanno ribadito il principio secondo cui «la nomina del difensore di fiducia effettuata nel procedimento di sorveglianza all’atto della richiesta di affidamento in prova al servizio sociale non spiega effetti nel procedimento per la revoca della misura stessa»; perciò, la nomina del difensore avvenuta solo dopo la notifica del decreto di fissazione dell’udienza dove poi si è discussa la revoca della misura alternativa alla detenzione (nel caso in esame del beneficio dell’affidamento terapeutico), e dove, peraltro, il condannato non ha nemmeno sollevato alcuna eccezione, non può essere ricondotta al principio di inosservanza dell’art. 178 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) [È sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti (...) l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante], dunque di nullità dell’atto stesso a causa, appunto, della mancata notificazione al difensore della fissazione di detta udienza. Inoltre, in punto di fatto oggetto di revoca, il Tribunale di sorveglianza nel revocare la misura alternativa con effetti ex tunc, cioè fin dall’inizio dell’esecuzione della misura, ha fatto correttamente leva sulla circostanza che da subito il condannato aveva tenuto «comportamenti oppositivi, contestando l’importanza degli strumenti terapeutici posti in essere nella comunità, sino a rifiutare del tutto di partecipare ai gruppi terapeutici, e creando tensioni tra gli ospiti con finalità strumentali ad un cambio di comunità», così dimostrando, con detto atteggiamento, che il beneficio è stato da lui stesso considerato «esclusivamente come una opportunità per evitare la detenzione in carcere ed è tale da determinare la revoca della misura alternativa con effetti ex tunc». Per tali motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende determinabile in tremila euro (Corte di Cassazione, VII Sez. Pen., Ord. 15696/2024).